Donato Di Santo

Tra Italia e America Latina

Funzionario di partito
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LATINOAMERICANI A MOSCA
Poco dopo il mio ingresso in Federazione come funzionario a tempo pieno, a 24 anni non ancora compiuti, mi venne offerta una opportunità straordinaria, che segnerà una tappa importante nella mia "sprovincializzazione”: fare parte del gruppo di dieci compagni, provenienti da tutt’Italia, ed andare sei mesi a Mosca, all’Istituto di Scienze Sociali presso il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche …uff! (ma il nome non ufficiale era più corto: scuola leninista internazionale). Quella fu l’ultima delegazione permanente del PCI alla scuola. Nel dicembre di quell’anno, quando eravamo ormai all’ultimo mese, in Polonia il generale Jaruzelsky attuò un colpo di Stato (che poi si rivelerà per quello che era: una mossa estrema volta a scongiurare l’imminente invasione sovietica), e da Roma ci arrivò l’ordine, con una visita-lampo di Giovanni Matteoli: tutti a casa! Il nostro fu l’ultimo, nessun altro gruppo italiano andò più alla scuola leninista. Era il 1981.
Prima della partenza facemmo una riunione alla Direzione nazionale del PCI, con Antonio Rubbi, che ci diede le indicazioni politiche.Quelle tecniche, invece, Luciano Torquati, che avrei ritrovato anni dopo al Bottegone. Il volo (il mio primo volo) non poteva che essere con Aeroflot!

A Mosca ogni tanto andavamo a trovare a casa sua, cioè lacasa che lo Stato sovietico metteva a disposizione del corrispondente de l’Unità, un giovane Giulietto Chiesa, appena giunto anche lui e alle prese coni rudimenti della lingua russa. Ci resterà vari anni divenendo uno dei maggiori esperti di quel mondo.
Della esperienza, in pieno breznevismo, a Mosca, di quello che facevamo nella scuola, dei rapporti con il PCI, ecc. …sarebbe troppo lungo parlarne qui. Ma un aspetto vorrei segnalare: la composizione internazionale e multietnica degli ospiti e la presenza latinoamericana (la scuola, un edificio e un parco immensi, tra le stazioni Sokol ed Aeroport della metropolitana, "invisibile” nelle mappe turistiche della città, veniva eloquentemente definito dagli abitanti del quartiere, lo zoo!). Credo che, insieme all’Università Patrice Lumumba, fosse l’unico altro polo frequentato da centinaia e centinaia di stranieri di tutti i continenti. Molti i latinoamericani, tutti membri (quella era la prassi) degli organi dirigenti dei partiti comunisti dei loro paesi. Molto preparati i cileni: abbastanza simpatizzanti nei nostri confronti (allora gli "italiani” erano identificati nel cosiddetto "eurocomunismo”, e molti ne erano affascinati ma, ovviamente, senza mai dirlo apertamente: il controllo occhiuto dei sovietici era proverbiale. Come lo era la battuta sui microfoni spia "persino nei cubetti di ghiaccio”!).
Ero diventato amico di uno di loro, di Valparaiso, ma il nome vero non l’ho mai saputo.
Gli argentini erano tra i più prevenuti e settari. Conobbi alcuni dei compagni paraguayani, che erano passati dalle camere di tortura di Stroessner: mi colpivano per la loro dolcezza, che stonava rispetto ai racconti che facevano. Da loro sentii par la prima volta parlare di guaranì (ed anche parlare "in” guaranì!). Di boliviani, e venezuelani non ricordo. Gli uruguayani erano affiatati, estremamente ortodossi, ma affettuosi verso di noi. Una volta il loro leader, Rodney Arismendi, in esilio nell’URSS, venne a tenere una conferenza nell’auditorium centrale… Il gruppo brasiliano era il più allegro. Ma anche loro, come tutti gli altri che provenivano da paesi sotto dittatura militare, non avevano potuto dire - neppure ai propri familiari - che stavano a Mosca: erano le minime misure di sicurezza. Caciaroni i nicaraguensi, e un po’ tronfi, dall’alto della loro rivoluzione appena sfornata. Tristi i salvadoregni e silenziosi i guatemaltechi. Molto vicini a noi i messicani, spesso ci chiedevano di Berlinguer. Volevano nostri libri e documenti. Con uno di loro, Gerardo, divenni molto amico, ben oltre la conclusione del corso.

In quel periodo non potevo neppure minimamente immaginare quanto quelle storie politiche, quel linguaggio castellano-latinoamericano, quel modo di fare …mi sarebbero, in seguito, diventati familiari…
In una occasione toccò a me intervenire al "simposio” interno del lunedi: di fronte a duemila persone di tutto il mondo non precisamente ben disposte, sostenni le posizioni "eurocomuniste”.
Grida di disapprovazione, come sempre, da parte di quelli dei partitini del nord Europa (piccolissimi PC che avevano percentuali di consenso da prefisso telefonico e sopravvivevano aggrappati al rubinetto dei rubli). Nel mio intervento, a sostegno delle mie tesi, citai anche un passaggio de "La storia dell’URSS”, di Giuseppe Boffa monumentale, e non agiografica, opera che, seppur obtorto collo, anche la loro Accademia delle Scienze aveva dovuto inserire "tra le migliori”.
Il relatore di turno, un cattedratico georgiano di nome Dumny (che, tra le altre lingue, parlava anche l’italiano), ribadì le posizioni ufficiali del PCUS e, seppur senza l’enfasi degli urlatori, fece la lezioncina "lei compagno italiano sbaglia sostenendo che, … ecc. ecc.”. Tutto come da copione. Se non che, qualche giorno dopo, questo Dumny (non ne ricordo il cognome, ma finiva per …shvili, come Stalin e come tanti cognomi georgiani), passò dall’Istituto, chiese di vedermi e, quando restammo a quattr’occhi bevendo caffè italiano della immancabile moka, con mio grande stupore mi chiese di vendergli il testo di Boffa, perché introvabile nelle biblioteche di partito a Mosca. Andai in stanza, avvolsi in vecchi giornali i due tomi e glieli regalai.
La stessa persona che, pochi giorni prima, mi aveva duramente criticato per le posizioni del PCI, dopo una forte stretta di mano, se ne andava tra i cumuli di neve, con il prezioso fagotto sotto il braccio.
Una decina d’anni dopo, in un servizio su la Repubblica, lo si intervistava, presentandolo come uno dei principali collaboratori di Georgji Arbatov, capo del Gosplan e una delle menti economiche della perestrojka… Che fiume carsico la storia…

Il periodo a Mosca mi fece conoscere anche molti giovani russi (esterni ed estranei alla "scuola” e alla politica ufficiale), artisti ed intellettuali, tutti critici verso il loro regime, ed alcuni apertamente dissidenti.
Con alcuni di loro coltivo tutt’ora una profonda amicizia … ma anche questa sarebbe un’altra storia.

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